La tragedia – non se ne può dare altra definizione – del gioco “asfisiante”, che ha portato una bambina di 10 anni ad un inconsapevole suicidio ha tristemente riempito le cronache di questi ultimi giorni ed ha dato luogo a reiterati interventi con richieste di controllo e sanzione.
Per quanto ne so l’unica risposta, se tale possa definirsi, è stata quella dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personal (Privacy nell’uso terminologico anglofilo corrente) che ha disposto la chiusura del social “incriminato”, Tic Toc, agli utenti dei quali non sia accertata con sicurezza l’età anagrafica, che non deve esser minore di anni tredici (come farlo seriamente è questione aperta).
L’analisi del lessico burocratico ed anche la utopica tutela dei dati dei cittadini, i quali sono dati in pasto, spessissimo senza che il cittadino ne sia consapevole ad una marea di “realtà”, dalla così detta Centrale Rischi a siti istituzionali e di tipo privato come appunto i social, di cui fa parte quello che sembra a tutti gli effetti responsabile, se non giuridico certo etico, della piccola Antonella, mi porta a considerare l’intervento del “Garante” come una inutile “grida manzoniana” proveniente da uno dei tanti Enti -inutili !?!- della galassia burocratica, che soffoca, metaforicamente per fortuna, i cittadini italiani.
Del resto sembra cha la stessa autorità garante sia consapevole della inutilità, di fatto, del proprio intervento. visto che il “blocco” è solo sino al 15 Febbraio, come se dopo tornasse la libertà di indurre i minori a comportamenti negativi, pericolosi, sino alla morte, come nel triste caso di Antonella.
Il vero problema che la tragica fine di Antonella pone all’attenzione di noi tutti: genitori, nonni, educatori, governanti, non è quello di interventi “repressivi”, a monte o a valle dell’uso dei social. quanto la necessità di prevenzione ed educazione ad un uso corretto e responsabile nel loro uso.
La prevenzione di cui dico ha due piani diversi: da un lato quello normativo, nazionale, europei, internazionale, del quale molto si dice e poco si fa, anche per l’intrinseca difficoltà di costruire un “diritto del web”. Non mi inoltrerò qui in questa questione che porterebbe lontano,
L’altro aspetto della prevenzione è quello educativo e, in specie, dell’intervento educativo che la Scuola potrebbe e dovrebbe fare, in armonia con padri e madri.
Educare all’uso corretto, responsabile, dei social è tanto più necessario in questi mesi di pandemia che, volenti o nolenti, costringono le giovani generazioni a passare più tempo del solito, che è già molto, incollate agli smartpohe, tablet, PC. La DAD potrebbe rappresentare un momento di particolare “utilità” per questo tipo di azione educativa, che però va posta in atto, ovviamente, anche nella scuola in presenza.
Certo occorre che l’equipé docente e le famiglie concordino linee comuni di intervento. Collegarsi tutti assieme, docenti ed alunni, genitori e figli, ad un sito social particolarmente seguito da giovani e giovanissimi, magari il “famigerato” Tic Toc e vederne e commentarne assieme contenuti e proposte, evidenziando ciò che possa esser positivo ma in specie facendo capire ai giovani utenti, con linguaggi adeguati alla loro età, ciò che di negativo e pericoloso vi si trova, è non solo utile ma necessario. Andare assieme, docente ed alunni, al gioco che invita al soffocamento e far vedere in concreto il rischio che comporta è più educativo di tante parole.
Non bisogna aver paura, con adeguata preparazione del docente e consapevolezza delle famiglie, di andare ad aprire assieme agli alunni, in DAD magari con un genitore a fianco, “pagine morbose”: tentativi di seduzione, inviti a farsi foto discinte, richieste di appuntamento, giochi pericolosi.
Aprire queste pagine in una situazione educativa è vera prevenzione e può evitare che, aprendole da soli, le giovani studentesse ed i giovani studenti cadano in trappole. Bisogna non aver paura di spiegare le tecniche di aggancio e seduzione che nei social gli orchi, i gradassi, i violenti, i bulli mettono in atto.
Vedere e commentare queste pagine di “spazzatura” assieme agli alunni, con i figli, è credo una efficace maniera di prevenzione, a patto che venga svolta con stile e linguaggi adeguati, come ho detto, all’età dei giovani; ove questo intervento fosse fatto con modalità predicatoria e moralistica potrebbe avere un effetto contrario a ciò che si vuole ottenere.
Ecco perché il bagaglio dei docenti, ad ogni livello, dovrebbe esser più nutrito di psicopedagogia che non di competenze disciplinati – che certo però devono esserci. Per insegnare qualcosa a qualcuno bisogna conoscere il qualcuno e il qualcosa.
Tutto quanto detto si coniuga con la necessita di una corretta educazione, non sessuale ma “sessuata”. Anche qui servono certo approfondimenti, forse li potrò fare, ma occorre dire che “chi ha orecchie per intendere intenda”
Roberto Leoni