La società è attraversata dallo sgomento. Se lo avessero ipotizzato qualche tempo fa pochi ci avrebbero creduto. Eppure la storia ci ha tramandato esperienze come e più terribili dell’attuale. Le pestilenze come quelle del trecento, del cinquecento, di metà seicento o del settecento, più o meno come le guerre, dimezzarono in certe zone la popolazione italiana ed europea. Intere famiglie furono demolite da peste e colera.
E allora torna alla mente ciò che diceva Marco Aurelio <<Chi ha veduto le cose di adesso, ha veduto tutte le cose, quante per gli infiniti secoli furono e per gli altri infiniti saranno.>>
Al di là della gravità del periodo bisogna però riflettere sulle ragioni di questo smarrimento, che non è solo legato alla prevenzione della diffusione dell’infezione che peraltro aggrava una crisi già in atto in Italia, ma anche alla perdita della consapevolezza dell’uomo sociale, delle sue regole e delle prospettive medie e lunghe.
La società moderna ci ha reso più ricchi ed evoluti ma meno forti, meno consapevoli della fragilità umana. Ha innestato nel nostro DNA meccanismi illusori come la strada senza intoppi verso la crescita, la fede nella irrefrenabile progressione della tecnologia e dei livelli di vita e nell’evoluzione verso una stabile agiatezza. Al punto che resta difficile accettare o addirittura accorgersi delle negatività, siano esse guerre e terremoti, degrado ambientale, povertà, fame ed emigrazione di popoli e, sul piano intimo, nichilismo, frane generazionali e familiari, cinismo ed egoismo.
E la lettura libera che è possibile grazie a cultura, fede, sensibilità e responsabilità resta spesso travolta dalla cecità collettiva, come un difetto da tenere nascosto. Ricordo che Pascal diceva che <<Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno deciso di non pensarci per rendersi felici.>>
E oggi un organismo talmente piccolo da non poter essere visto, ma solo immaginato ci restituisce alla fragilità della vita e ci obbliga a ripensarla come non fine a se stessa. Si moltiplicano le riscoperte come l’idea nazionale, il valore dell’affiancamento congiunto tra i popoli e il superamento del rancore generazionale, si riaffermano la solidarietà e lo spirito di sacrificio, il senso del dovere e l’utilità del rispetto delle regole, ma anche il dono del lavoro e dei legami familiari e sociali.
Sul piano delle politiche pubbliche nostrane ed europee, ci si augura, come faceva Chamfort, abate illuminato del settecento, di avere “la pigrizia del cattivo e il silenzio dello sciocco”, ma non basta rivolgersi solo agli altri con le pretese.
Dobbiamo riprendere il cammino individuale e spirituale trascurato, affrancarci da quelle inseminazioni di odi, rancori, disprezzo, malcostume e arroganza che hanno contrassegnato anche le coscienze prima che le società, quando abbiamo dimenticato che individui e società sono lo specchio una dell’altra.
Sono certo che l’intelligenza umana riuscirà a farci superare il male del giorno attraverso l’impegno della scienza, ma superare le secche di un generale decadimento non è né sarà facile perché occorrerà l’impegno nel tempo di ciascuno condito da rispetto e umiltà.
Giuseppe Procaccini